Rosa dei Versi | Francesca del Moro

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Dalla nota di Maria Gervasio

Dopo Ex Madre (Arcipelago Itaca, 2022) e L (Gattomerlino, 2024), La metà notturna è l’ultima opera di una “ideale trilogia” (così la definisce l’autrice) dedicata alla morte del figlio. A differenza delle prime due raccolte, questa si presenta ai miei occhi come un’unica lunga poesia, una sorta di rappresentazione drammatica in versi di cui l’autrice è la protagonista, le figure importanti della sua vita i personaggi, la scena e il tempo dell’azione i luoghi e i fatti della sua esistenza. Il titolo è perfetto, dato che l’autrice si affida alla sua “metà notturna”, ovvero a un tempo più clemente, dove l’ansia è sedata, e non è più richiesta la lucidità forzata necessaria invece ad affrontare le giornate. La notte, nel sogno, le cose si liberano, si fanno strada da sole prendendo forma e combinandosi a modo loro senza dover ricomporre, conciliare, spiegare: non si è più davanti al mondo, ma dentro di sé. Il dolore ha la stessa invadenza, gli avvenimenti e le persone che contano sono le stesse, ma la logica si affievolisce, l’estenuante ricerca di ragioni e di controllo è sospesa, insieme a tutta la fatica che comporta, a tutta la stanchezza. […] È come se, per chiudere la trilogia, avesse avuto bisogno di un significativo cambio di passo, di un maggiore respiro, di un diverso procedere anche nella scrittura, modificando completamente punto di vista. Per un periodo, ha trascritto al risveglio i sogni che ricordava, lavorando in seguito per trasformare quel materiale in versi, senza dover dar conto di tutta la vita e tutta la morte che contenevano. Il risultato non è certo un libro di sogni, ma un poema in cui il piano della poesia e quello della vita corrono insieme senza compromessi, fronzoli o artifici, rubandosi spazio a vicenda. È la voce di una donna immersa, persa, in un dolore scuro, che cerca suo figlio, che lo tiene vicino o lo guarda da lontano, che lo vede bambino o già ragazzo, in vita o senza vita, in un dramma che si ripete e che lei non può spiegare. Dentro a tutto questo, con meno peso, accadono le altre cose (il lavoro da terminare, il treno che tarda, la cena da preparare, il pattume da buttare, gli incontri, l’amore, il sesso…), si palesano le presenze importanti della sua vita (sua madre, suo padre, il suo ex, il nuovo compagno, il capo, le colleghe, la gattina bianca…), vive la città, cambia il tempo nelle stagioni. Emerge alla fine un grande affresco, a tratti surreale a volte astratto, in cui l’autrice si muove in prima persona, sola e disorientata in balia dei fatti e dei sentimenti, alla continua ricerca di risposte che non ci sono. Sembra quasi non possa farsene una ragione, continuando a vivere ogni istante nella speranza di trovare in qualche modo o in qualche luogo, una riappacificazione. La sua scrittura qui è sincera, disincantata come i sogni da cui attinge, non aggiunge ricercatezze, non usa sentimentalismi pur nel dire di un dramma così grande da spezzare un cuore. Non offre nemmeno un finale consolatorio, o anche solo un bel finale. In realtà non c’è nemmeno una chiusura, perché anche la poesia non può spiegare nulla, non può chiudere nulla.

Da La metà notturna (Bohumil Edizioni 2024)

Usciamo insieme
ci aspetta
una matrona nera
io so chi è mi guarda
dura e saggia
gli mette una mano
sulla spalla
lo accompagna altrove– il mio bambino
io m’incammino
nella direzione opposta
senza uno sguardo
e senza una parola.

*

L’angolo del lenzuolo staccato
è negligenza, eccesso di corpo.
Lui è bambino dietro un vetro
io cerco di far passare le mani
a cogliergli lo sboccio di pianto
dal viso, ha una pila di fogli
e un sorriso per uscire in giardino
nell’atrio genitori e insegnanti lo sanno
uno solo si fa avanti, gli chiede
che succede, lui lascia la scuola
e la casa, ha perduto la dolcezza
degli occhi, si guadagnerà da vivere
mostrando dal foro in un cassetto
la salita di un fungo atomico
oltre la montagna.

*

È sempre di schiena
lo vedo di schiena e lo seguo
indossa il suo abito elegante
ha una valigetta in mano
sale e scende dalla bicicletta
accanto alla nostra porta
lo aspetta un uomo anziano
solo allora si ferma, si volta
e appare il suo viso radioso
mentre l’uomo lo saluta
con un sorriso sdentato.

*

Facciamo colazione
e nel piattino vuoto
accanto al cappuccino
io gli appoggio
una locuzione avverbiale.

*

Nel mio ventre
la donna e la bambina
con la pelle nera, i vestiti neri
i capelli neri, si abbracciano.
China sul mio ventre le osservo
la donna cinge la bambina
le appoggia la guancia alla testa
sono nel mio ventre, mi commuovo
mi sporgo sul mio ventre vuoto
contenente.

*

Vedo mio figlio vivo
studia, entra, esce e
non mi vede, all’ingresso
della comunità suo padre
mi saluta sorridente
è insieme a una guardiana
altrettanto accogliente
sono pronta per il cammino
dico e ritorno tre volte
rispondono non adesso
non è ancora il momento.

*

Il film inizia a scorrere
ma la mia attenzione è rubata
da una testa pelata, liscia
e affusolata, continua l’andirivieni
degli occhi fino alla scena con lei
incastrata per i capelli sul fondo
della piscina, penso ai miei capelli
bloccati nel buco del lavandino
mentre lavavo via la tinta
non ci fosse stata mia madre
sarei rimasta lì inchiodata
finché qualcuno, temendo il peggio
avrebbe buttato giù la porta
e mi avrebbe trovata, ridicola
perlopiù, tutt’altro che suicida.
Ora le teste pelate affusolate
si sono moltiplicate, il cinema
annega nel bianco ferino, c’è silenzio
a parte un brulichio costante
mi guardo la pancia, le gambe
coperte di farfalle che mangiano
io non sento niente, osservo
impassibile le loro ali
macchiarsi del mio sangue.

*

 

Francesca Del Moro è nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della traduzione. Ha pubblicato i libri di poesia Fuori tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche), La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019), Ex madre (Arcipelago Itaca, 2022), Questo posto buono (edizionifolli, 2023), Sovraliminale (Progetto Cultura, 2023) e L (Gattomerlino, 2024). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa e ha pubblicato una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire (Le Cáriti, 2010) e la traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue (Marco Saya, 2020). Fa parte del collettivo Arts Factory e del Club Pavese+Tenco insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini, con le quali ha contribuito come traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), nonché allo spettacolo Rose gialle in una coppa nera dedicato a Cesare Pavese e Luigi Tenco (2018). Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014) prodotte da Fuzz Studio e ha partecipato alla realizzazione del primo album omonimo (2016). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie associazioni bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere.

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