La stessa cosa del sangue | Racconti con la Resistenza

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Libri, racconti, parole per resistere, umani. Abbiamo bisogno di libri come questo per stare nello Spirito del nostro Tempo.

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«Questo libro di racconti nasce da una richiesta, rivolta a scrittrici e scrittori, di misurarsi con la memoria della Resistenza, con la condizione umana che impose un cambio di paradigma: un mutamento del nostro sguardo sul mondo. Una richiesta per rintracciare nei propri vissuti i sedimenti prodotti da quei venti mesi rivoluzionari; una ricerca che reca in sé una domanda: da lì comincia la nostra storia nella storia?, come scrisse Leonardo Sciascia a proposito della Guerra civile spagnola, periodo cruciale per la maturazione ideologica di un’intera generazione cresciuta sotto il fascismo. In che modo la memoria di quella storia nella storia ha teso a scrittrici e scrittori di oggi un agguato nei loro viaggi di carta, facendoli trovare, talvolta o sovente, dall’altra parte» (dalla nota del curatore, Sergio Sichenze).

Nell’ottantesimo anniversario della Liberazione, ventuno emozionanti e suggestivi racconti ci parlano non solo della Resistenza di allora, ma delle quotidiane resistenze dell’oggi.

Racconti di: Elisabetta Baldisserotto, Sonia Caporossi, Paolo Crespi, Anna Maria Curci, Luciana De Palma, Cristiano Dorigo, Francesco Forlani, Antonio Fiori, Angelo Floramo, Paolo Gera, Stefano Iori, Eugenio Lagomma, Abele Longo, Irene Pavan, Max Ponte, Orsola Puecher, Maria Teresa Regard, Sergio Sichenze, Enrica Simonetti, Luisa Stella, Pasquale Vitagliano.

Con i contributi di Giorgio Mascitelli e Alessandra Pigliaru.

Link: https://deriveapprodi.com/libro/la-stessa-cosa-del-sangue.

Dal racconto di Max Ponte. Se associassi al testo che segue un Arcano Maggiore dei Tarocchi, operazione per me abituale, direi Matto, il folle che non frena un cammino di speranza attiva sul sentiero impervio. Ma anche Bagatto/Mago, il nostro apprendistato nella vita comunitaria, l’educazione alla civiltà, il romanzo di formazione che è la condizione dell’essere nel Mondo.

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LA VITTORIA DEI CAPPELLAI MATTI
in “La stessa cosa del sangue”, p. 157

di Max Ponte

Il partigiano Gianni D., quella notte aveva dormito male, aveva avuto una serie di incubi che lo avevano messo al muro, i tedeschi, la fuga dal convoglio, una scuola abbandonata in Sardegna e la figlia piccola ammalata. Che poi ci aveva pure pensato a questa cosa che suonava “Gianni D.” come un capolavoro del cinema neorealista, ma alla fine tutta la sua vita era stata molto cruda e la pellicola di De Sica finiva persino per mettergli tenerezza.

Ora la sua casa era il partito o quello che rimaneva di esso, durante i comizi e i congressi scendeva un silenzio assoluto e il suo eloquio dominava la scena. Il partigiano Gianni D. aveva una cadenza sicura, determinata, a tratti era ironico, parlava di una “società feroce” che doveva essere affrontata attraverso la lotta per la creazione di una “società socialista”. Aveva una leggera pronuncia piemontese e si racconta che un giorno a borgo San Paolo si fosse del tutto dimenticato di parlare in italiano e fosse stato redarguito dalla maggioranza degli astanti di origine meridionale.

Il partigiano Gianni D. a casa non c’era mai ovviamente, e quel giorno camminava per il centro di Torino e, non pago degli incubi notturni o forse a loro necessario sviluppo nella camera oscura della mente, rivedeva momenti della sua vita agli angoli delle strade tra via San Francesco e via Po. Erano frammenti in forma teatrale, gli attori erano davvero bravi, giovani e capaci, e si trasformavano al termine della performance in statue viventi.

Nel primo frammento Gianni D. stava dai preti, questi preti dovevano averlo davvero influenzato, ma alla fine Cristo era comunista, no? I salesiani gli avevano insegnato a stare fra la gente e a sorridere anche nelle difficoltà. Ah, questa cosa del sorriso, loro vincevano sempre! Nello stesso fotogramma apparivano, nel convitto di Germagnano Sesia, i conigli. Considerato un bambino vivace, se non esagitato, Gianni D. era stato incaricato di pettinare i conigli d’angora allevati nell’istituto per il loro prezioso pelo. Pettinare conigli, così nascono gli eroi.

Nel secondo frammento appariva il riflesso di Gianni D. commissario politico nella brigata Garibaldi. Un commissario politico doveva garantire che i militari rispondessero ad obiettivi superiori e non cadessero in questioni personali, vendette o atteggiamenti criminali. Il segno mnemonico si trovava vicino ad un negozio che esponeva maniglie.

Nel terzo frammento, collocato in prossimità di una macchia d’olio di motore, i compagni di Gianni D. vomitavano perché incaricati di fucilare un fascista.

Il quarto frammento Gianni D. lo trovò in profondità, guardando attraverso una finestra con le grate. Fu lì che ritrovò la sua casa in Sardegna. Gianni D., che portava sotto braccio un fascio di giornali, si fermò un attimo e scosse la testa. Si accorse di aver davvero bisogno di un caffè. La sua mente stava diventando un po’ troppo martellante. Si sedette ad un tavolo fissò il cucchiaino nella tazzina. Quando sua moglie entrò in quella casa non voleva crederci, in casa non c’era praticamente nulla. Era stato nominato direttore didattico o meglio ricostruttore didattico di uno dei luoghi più difficili del paese: la Barbagia.

La Barbagia quel giorno si allargò e si mangiò tutti gli altri frammenti precedenti, secca, mitica nella fuga indietro della memoria. I pastori, proprio come nel libro di Gavino Ledda, sottraevano i figli alla scuola e li assegnavano al gregge. I piccoli erano denutriti e anche il bestiame lo era, non si capiva come facessero, umani e animali, a stare in piedi. Fu in quelle lande desolate che Gianni D. fu spedito. E tutto ciò aveva il sapore di una congiura.

[Per sapere come va a finire, a questo punto non avete che da leggere il libro…]

[Il racconto è liberamente ispirato alla vita di Gianni Dolino, si ringrazia la figlia Elèna per il materiale e le testimonianze senza le quali questa breve narrazione non sarebbe potuta nascere.]

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