
(articolo di Ana Circei)
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Foamea de Unu
Voi, numere-n delir, scrumite grupuri,
cum pot să vă slăvesc?
Iubire, tu – fii vântul roșu
ce-a bătut prin trupuri
și, timp de-o clipă, în carnea lor făcu
să ardă-ntregul:
cel ce ca un umăr de zeu luceste,
care nu e nici absența numărului,
dar nici număr!
Învată-mă cum să hrănesc aici
o pasăre ce n-are timp să zboare
căci piere – pui – în propriul ei ou,
o boare ce respiră-n altă boare,
un cântec care nu-i decât ecou;
și, mai ales, aceste vagi răsfrângeri
intr-o oglindă spartă,
ca și cum oceanul ar scuipa pe țărmuri
îngeri exact in patu-n care noi zăcem.
Al cui nisip suntem?
Cel ce nu poate să numere (de-a pururea fiind doar
Unu)
vai! e numărat in toate fragmentele –
ce-l neagă, putrezind
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La fame dell’Uno
Voi, numeri in delirio, gruppi combusti,
come potrei magnificarvi?
Amore, tu – sii il vento rosso che trapassò i corpi
e, per un attimo,
incendiò il Tutto nelle loro viscere:
colui che brilla come una spalla di dio,
colui che non è né assenza del numero
e tanto meno numero!
Insegnami come sfamare qui
un uccello che non fa in tempo a volare
perché perisce – piccolino – già nell’uovo,
un fiato che boccheggia in un altro fiato,
un canto che non è che eco;
e sopra ogni altra cosa, questi riflessi vaghi
in uno specchio infranto,
come se l’oceano sputasse sulle sponde
angeli direttamente nel letto del nostro giacere.
A chi appartiene la sabbia che siamo?
Colui che non può essere annoverato tra i molti
(essendo eternamente l’Uno)
viene – ahimè! – contato in tutte le sue frammentazioni,
che lo negano, marcendo
“il poeta è il ponte tra gli dei e gli uomini…”
Ș. A. Doinaș
“… soldato della lingua” segnato dal destino, ha dovuto rimandare il suo debutto letterario di 20 anni – a causa delle incessanti persecuzioni da parte del regime.
Ștefan Augustin Doinaș (1922 – 2002) nato Ștefan Popa, pubblica il suo primo volume – Il libro delle maree nel 1964. Una raccolta molto accurata, concepita per favorire la sua (re)integrazione nel mondo letterario e non solo come un contenitore dei suoi scritti migliori.
Solo in seguito (con i successivi volumi, tra cui:
L’uomo con il compasso – 1966, La stirpe di Laocoonte – 1967, Alter ego – 1970), viene fuori, con tanto di eleganza intellettuale e profondità filosofica, il poeta delle ballate, dei salmi, della metafisica, della fame mistica.
Oppresso dal regime, riesce, comunque, a estraniarsi dal contesto politico e sociale del momento e a “imprigionarsi” nel “carcere mirifico” della lingua, della parola, in breve: della poesia, che “prima ancora che venga scritta sulla carta, esiste già nascosta nel cielo della bocca” (espressione rumena per dire palato)
“nessuna poesia finisce con un punto fermo“
Ș. A. Doinaș
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