
Dissotterrare i viventi di Lea Barletti è un corpo poetico di sessantasette pagine che genera stupore, che solletica la sorpresa: è, dunque, un dono capace di suscitare fiammate di meraviglia. La sorpresa è un’espressione che si legge in faccia a colui che resta temporaneamente inebetito, ed è, come tutte le emozioni di base, uno scuotimento che si complessifica nell’approfondire lo stimolo grazie alla ricerca che oltrepassa le iniziali aspettative per diventare lettura attenta e rilettura riflessiva del volume, al fine di estrapolare un pensiero intorno e dentro l’opera.
I testi poetici contenuti nella silloge edita dalla casa indipendente Collettiva per la collana prose minime (numero 15), con una nota di lettura di Silvia Tebaldi, si aprono con una fotografia che si trova nella carta di guardia. Una sorta di seconda copertina in bianco e nero, dopo il color sangue della prima pelle, nella quale il ritratto dell’autrice a opera di Daniel Nartschick si fa ramo, foglia e tronco. Un tronco che sembra una mano aperta, intorno agli occhi e ai capelli di aghi d’abete.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule: adesso siamo che non eravamo scrive Antonella Anedda, citata all’avvio di tutto questo processo di disgregazione e reintegrazione poetica che mi rimanda al Giudizio arcano, apocatastasi dell’essere morti e risorti nell’accettazione della mutevolezza insita in ogni cosa. Anche la Ruota, decimo portale archetipico, ben si presta a dire il disfacimento e la rinascita delle cose. Se ci si pone al centro del moto, si può seguire il ciclo che dalle stelle ci conduce alla terra con ritorno. Si può accogliere la nuda veritas dell’atomo e godersi il giorno e la notte in carpe diem e memento mori.
Scrive Barletti:
*
Aspetto come il canto dei merli
prima del temporale, come il verde
che si sbandiera vivo contro il cielo opaco
gonfio di attesa, brulicante di promesse.
Scoppiano tra le dita i sacchetti dei semi
sparano d’intorno una cieca domanda di futuro
vegetale, sopravvivenza interstiziale
s’aggrappa alle caviglie, ostinatamente sale
verde e sottile, selvatichezza antica, si radica
è parte della pietra, non si svelle, ancora
rimescolando la mia linfa, trema
nei più lontani rami e io non posso separare
gramigna e gelsomino: non distinguo:
tutto profuma, tutto è cresciuto insieme, tutto
è casa degli insetti, tutto è mondo
questa inestricabile armonia vegetale
di veleni e medicamenti
vita mia.
Nella Danza Macabra come realtà simbolica (non è un paradosso difficile da comprendere) dell’anima individuale e collettiva si rigenera il dubbio che l’anima sia più duratura dell’involucro, si svela un’idea di Psyché forse troppo ideale, rimescolando una tradizione di salvezza e va a permeare i versi dell’autrice. Si toccano le origini del vivente e del singolo – l’origine di tutto e la sua fine – e il transgenerazionale, nella sezione;
Serie Anatomica, ovvero: l’anima è un muscolo lunghissimo (Atto provvisorio del corpo unico in dieci movimenti)
Terzo Movimento: Dura Madre, Amaro Padre (Andante)
L’amore mio non fu:
era degno figlio di un amaro padre.
Falce del cervello
ora
rigetta da me, lontano
i geni del suo male:
nell’arido spazio epidurale
nella corazza della sua dura madre.
Nell’essere o nel non essere, qual è il ruolo dell’entrare in scena per il tragitto dalla culla alla bara? Quale senso ha stringere il corpo del corpo finché c’è? Il finale epico non è inaspettato, eppure è sempre una sorpresa, perché ci fa comodo non vedere. Tendiamo a dimenticarci il legame con il carbonio. Vorremmo evitare di pensarci, e invece:
[…]
Impariamo l’amore
ed è già passato.
*
La struttura elementare delle cose
Mi consola,
la finitezza della materia
la sua struttura elementare
granulare
mi consola come carezza sulla testa
sapere che c’è un limite finito
alle infinite particelle
all’infinito frantumarsi di ogni cosa
che c’è un limite per tutto
un limite che è legge
insieme cosmica e umana:
allora anche io, un giorno
anche io
avrò finito di frantumarmi
e resterò
puntolino di energia, grano di materia
che forse ancora brucia
ma più non si divide.
E allora, gli elementi della natura, gli uccelli, gli alberi – soprattutto – persino gli insetti richiamano la coscienza dei mondi a noi stessi, perché noi in qualche modo ritroviamo nello specchio l’albero del cosmo.
Armageddon
Cadeva un albero, abbattuto
e mi è parso
che a disfarsi
fosse un mondo intero.
A migliaia
in grande ed alta confusione
fuggivano
da quel microscopico Armageddon
gli insetti e i loro figli.
*
Breve bio
Lea Barletti è attrice, regista, autrice e performer. Vive in Germania, a Berlino, con il compagno Werner Waas e i due figli. La coppia ha creato un sodalizio artistico, dando vita alla compagnia teatrale indipendente Barletti/Waas. L’autrice scrive racconti, poesie e testi teatrali. Nel 2018 ha pubblicato un libro di racconti: “Libro dei dispersi e dei non ritornati” per le edizioni Musicaos. Il sito: http://www.barlettiwaas.eu
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