
[Immagine: acquerello di Giorgia Fantinuoli ispirato a una foto di Vidit Singhv]
La redazione di Poesie Aeree vi augura un buon inverno, un Sol Invictus che illumini i vostri desideri, un Natale che sia per voi rinascita e un Nuovo Anno nel quale possiate splendere sereni e serene.
Dieci testi selezionati per voi dalla redazione volante:
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Pilota Valeria Bianchi Mian
Nel grembo umido, scuro del tempio
L’ombra era fredda, gonfia d’incenso
L’angelo scese come ogni sera
Ad insegnarmi una nuova preghiera
Poi d’improvviso mi sciolse le mani
E le mie braccia divennero ali
Quando mi chiese, “Conosci l’estate?”
Io per un giorno, per un momento
Corsi a vedere il colore del vento
Volammo davvero sopra le case
Oltre i cancelli, gli orti, le strade
Poi scivolammo tra valli fiorite
Dove all’ulivo si abbraccia la vite
Scendemmo là dove il giorno si perde
A cercarsi da solo nascosto tra il verde
E lui parlò come quando si prega
Ed alla fine d’ogni preghiera
Contava una vertebra della mia schiena
Le ombre lunghe dei sacerdoti
Costrinsero il sogno in un cerchio di voci
Con le ali di prima pensai di scappare
Ma il braccio era nudo e non seppe volare
Poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
E i volti severi divennero pietra
Le loro braccia profili di rami
Nei gesti immobili d’un’altra vita
Foglie le mani, spine le dita
Voci di strada, rumori di gente
Mi rubarono al sogno per ridarmi al presente
Sbiadì l’immagine, stinse il colore
Ma l’eco lontana di brevi parole
Ripeteva d’un angelo la strana preghiera
Dove forse era sogno, ma sonno non era
“Lo chiameranno figlio di Dio”
Parole confuse nella mia mente
Svanite in un sogno, ma impresse nel ventre
E la parola ormai sfinita
Si sciolse in pianto
Ma la paura dalle labbra
Si raccolse negli occhi
Semichiusi nel gesto
D’una quiete apparente
Che si consuma nell’attesa
D’uno sguardo indulgente
E tu piano posasti le dita
All’orlo della sua fronte
I vecchi quando accarezzano
Hanno il timore di far troppo forte…
Fabrizio De Andrè, Il sogno di Maria
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Per salvare la terra non è una battaglia impossibile
da vincere, ma una benedizione troppo importante da perdere.
Questa è la verità più urgente:
che la nostra gente ha un solo pianeta da chiamare casa
e che il nostro pianeta ha un solo popolo da chiamare suo.
Possiamo dividerci ed essere conquistati da pochi,
oppure possiamo decidere di conquistare il futuro,
e dire che oggi abbiamo scritto una nuova alba,
dire che finché avremo umanità,
avremo anche speranza.
Estratto da una poesia di Amanda Gorman letta davanti all’Assemblea dell’ONU nel 2022
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Copilota Silvia Rosa
La pura forma del cuore affonda e rilancia un altro cuore.
Reale. Vera apertura alare.
Troppi mattini vengono a noia.
Un solo corpo. Uno e semplice.
Le braccia si perdono, si perde l’occhio e il racconto di sé.
Qui e ora. Il bianco e l’aria del bianco.
Corpo che cade e sente. Corpo fendente.
Il bianco batte in petto. È tutto.
Iole Toini, da Niente di tiepido
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Le cose che non fioriscono
vanno tagliate via.
Fatti slarghi dove si contenti un fianco
dove si riposino i rami gemmati
s’infuochino le dita che hanno stretto il buio.
Le cose che non fanno fiori e non li rifanno
nelle stagioni puntuali di domande e offerte
sono soli stellari di pianeti avversi
o lontani, o prossimi.
Le cose che non t’incantano la notte
e non t’incatenano e non ti liberano
e non fanno liquidi
non fanno suppliche, non fanno posto,
vanno raschiate via, snocciolate, espulse.
Le cose che non resistono
al paragone e al tempo della primavera
fanno cataste per scaldare mani vicine.
Sabrina Foschini, da Ragioni della sete
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Redattori volanti
Maurizio Micheletti
– Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca
lentamente le sei.
– Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po’ di posto per me e per Giuseppe?
– Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe
Il campanile scocca
lentamente le sette.
– Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
– Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto.
Il campanile scocca
lentamente le otto.
– O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
– S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove.
Il campanile scocca
lentamente le nove.
– Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
– Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…
Il campanile scocca
lentamente le dieci.
– Oste di Cesarea… – Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell’alta e bassa gente.
Il campanile scocca
le undici lentamente.
La neve! – ecco una stalla! – Avrà posto per due?
– Che freddo! – Siamo a sosta – Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…
Maria già trascolora, divinamente affranta…
Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d’un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaie
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill’anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!
Alleluja!
Alleluja!
Guido Gozzano, La notte santa
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Nascere, natale, il nascere
supremo. Il nostro
nascere, il nascere totale,
il nascere del figlio
eletto, l’evento senza uguali
l’esserci di colui, di ognuno,
che vorrà vedere il mondo,
mettere in salvo il mondo
e che è nostra immagine
nel nostro cuore.
Maurizio Cucchi
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Serena Vinci
Conja
centrata: e il resto la nuova
covata fioccando con gusto
ai colpi iterati del gelo
risale il clivio se poi
sfibbiando s’inoltra
Roberto Precerutti, Entrebescar
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Ti porto i doni del mondo
quello interno
fiume a presa rapida
bufera di assenza
a colpo sicuro.
Li pesco nel ghiaccio
li scavo a prezzo delle unghie
mi scollo mi getto nei cunicoli
arrotondo angoli rocciosi con la lingua
peregrino nelle pieghe
stendo garze sui baratri.
E alla fine eccoli qua
i doni del mondo graffiato,
senza una goccia di sudore
deposti in mani
di partenza.
Chandra Livia Candiani, La domanda della sete
Elena Circei
Posso saltarti al collo?
fare un sogno di te?
guardarti e toccarti?
assaggiarti un pezzetto?
farmi i codini fischiare?
giocare al lupo avere paura?
mangiarmi tutta con la tua bocca?
Vivian Lamarque, Posso?
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Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore mai perdonerebbe.
Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.
È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
«Non devo loro nulla» –
direbbe l’amore
sulla questione aperta.
Wislawa Szymborska, Ringraziamento
Buone feste!