Una pistola al luna park | Monica Messa

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Dall’introduzione di Antonio Bux

Nella nuova raccolta di Monica Messa, intitolata Una pistola al Luna Park, tutto un album di personaggi, paesaggi (sia interiori che esterni) incastona un sentire spesso ondivago, dialogico, dal tono dissacrante ma lieve e scanzonato, alla laicità perduta del paesaggio tipico di un paese del Mezzogiorno, dove il mare si conquista ogni giorno attraverso la fiducia di osservarlo, e dove gli odori di salnitro e spezie si fondono a quelli di polvere e cemento. In questo ruvido paese, dove c’è una stazione “da cui nessuno parte”, vi è l’onirica riluttanza della Messa di sapersi in un non luogo, una sorta di “Safarà” impossibile per molti dei suoi abitanti, inventati o esistenti poco importa, che si fanno qui al contempo luce di un canto urbano così come scorie di ombre di una quiete mai guadagnata. Dunque è il paese con i suoi abitanti il vero protagonista della silloge, il perno di una non storia narrante. Così come la figura genitoriale, uomo di mare che in una scatola ha lasciato messaggi in bottiglia attraverso la poesia, messaggi qui riportati nella sezione apposita in corsivo, è l’alcova dove la Messa pare lasci a decantare tutta una senescenza dello spirito che, nella memoria ma anche e soprattutto nella promessa di un futuro, prova a ridefinire una saga, famigliare e al tempo stesso universale, dove l’anima centrale delle cose si dipana attraverso multiformi direzioni. Forse il segno di una poetica, quella dell’autrice, che cerca nel riverbero emozionale e nell’immagine desueta di non premere il grilletto della pistola nel Luna Park che sembra essere il mondo cantato in questi versi.

Da Una pistola al luna park (RP libri 2024)

Lungo il Mare degli Umori
i grattacieli sono cresciuti in abbondanza.
Fra le pieghe della tunica,
prati di asfodelo
celano gli aloni dei tuoi long drinks.

Samir, ex-infante demiurgo,
veste di bianco
e porta kebab a domicilio.
Non accetta mance, solo bignè.

Il suo dolore puzza,
lo senti da lontano,
puzza di levante e di randagio
di mancanza e di lattine vuote.

Avanza. Tu
accendi un’altra sigaretta.

*

La bambina di rame e di miele
appende foglie alle orecchie
e si sente una regina.

Ancora non sa che le vespe
ricompensano i fichi con la vita.

*

“Pensa alle cose belle”
(diceva mentre la penetrava).
Un bacio sulla fronte
e la pioggia sulla grondaia.
Piccola carpa koi,
drago bianco volante.
“Sono tutte belle le creature che dormono”.
Il caprifico spuntava
dal muretto a secco.
Cremore di tartaro e cocaina
nella credenza in cucina.
“Papà ti vuole bene”.

Lei è riso, granaio, mandorla.
Lui balena ferita.
Nel castello di cenere.

*

Sedici anni il prossimo dicembre.
Distesa al buio nel granaio,
fuochi d’artificio
sulle palpebre schiacciate,
le scarpe di vernice nuove,
i talloni scorticati,
ridevi alle sue battute sconce.
– È vietato baciare la Regina!
sussurravi.

La Luna del Cervo era alta,
alta la tua scollatura,
il mascara calato.

Rosa di Spagna ti chiamava
tua madre, ma avevi un’anima
di pan bagnato, Geremina
e l’oro dei campi più non ti si addice.

Come magma la dose nelle vene.
Ti arrendesti sognando un lieto fine.

*

Monica Messa ha esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A dicembre 2024 ha pubblicato Una Pistola al Luna Park, Edizioni RP Libri. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie nazionali e internazionali.

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