Sulla Pagina Facebook di Poesie Aeree troverete i POETRY TEKKEN che precedono questa sfida a colpi di versi tra due poetesse fantastiche:
Maxine Kumin e Marie Howe.
Potete votare la vostra poesia preferita commentando questo articolo o visitando la Pagina Facebook per andare a mettere un cuoricino sulla fotografia corrispondente alla poesia che avete scelto.
Entrambi i componimenti sono editi nell’antologia: LA TESA FUNE ROSSA DELL’AMORE – Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, Edizioni La Vita Felice, 2015.
1.
E’ vero, Martin Heidegger, come hai scritto,
che “ho paura di finire”, anche sapendo che nell’ora
della morte le mie figlie mi assorbiranno, anche
sapendo che mi porteranno per sempre
dentro di sé, un feto interrotto, perfino mentre porto
il fantasma di mia madre sotto l’ombelico, una piccola
persona androgina e sfrontata, un miracolo
ripiegato nella posizione del loto.
Come quelle vecchie bambole russe a forma di pera
che si aprono
nel mezzo per rivelarne sempre un’altra, fino
all’irriducibile minimo, della grandezza di un pisello,
sia dato a noi portare avanti le nostre madri nella pancia.
Sia dato a noi, portate avanti dalle nostre figlie, viaggiare
nella Busta del Quasi-Infinito,
con quella catena di sant’Antonio buona per i prossimi
venticinquemila giorni delle loro vite.
LA BUSTA – di Maxine Kumin (The Envelope, Selected Poems 1960-90), trad. A.M. Robustelli.
2.
“Sia benedetto il corpo di mia madre, il primo canto del suo cuore
che batte e del suo respiro, la sua voce, che sentivo appena,
diventava più forte. Da dentro il suo corpo sentivo
quasi ogni parola che diceva.
Dentro quella ragazza andavo in macchina a fare spese
e tornavo, i suoi piedi spingevano
i pedali della macchina blu, la sua voce, prima apertura
alla fredde mattinate di sole
la pioggia, il chiaro di luna, le nevicate, i cani…
I suoi reni smisero di funzionare, il grembo dove un
tempo abitavo non c’è più.
Il suo giovane corpo stupito mi spinse giù per quel
lungo corridoio,
e il mio corpo le fece male, lo so – 24 anni. Sono
grande abbastanza
per essere la madre di quella ragazza, lisciarle i capelli,
guardare dentro i suoi occhi esultanti e impauriti,
le lenzuola macchiate di cioccolata, il cuore in collasso
continuo.
E’ femmina, avrà detto qualcuno. Mi avrà baciata
con la sua bocca, primo dolore, prima aria,
e presto la bevevo, primo cibo, mangiavo mia madre,
accasciata nella sedia a rotelle, con uno dei miei fratelli
che la spinge,
sul prato innevato, gli occhi fissi, la faccia girata
da una parte.
Sia benedetto questo corpo che lei ha fatto, le mie
gambe lunghe, le sue braccia e dita lunge
la nostra voce dentro la mia gola che vi parla ora.
Da: “Il corpo di mia madre” – Marie Howe