IL SERPENTE NELLO STOMACO | Giorgia Fantinuoli

NELLA SEZIONE “ISPIRAZIONI” DEL BLOG “POESIE AEREE” OSPITIAMO SIMBOLI NARRATI, STORIE D’ARTE, IMMAGINI CHE RACCONTANO ESPERIENZE CREATIVE.

Il serpente nello stomaco

scritto e illustrato da

Giorgia Fantinuoli                  

     Ormai da quattro giorni Isa non riusciva a pensare ad altro.

Quell’immagine la ossessionava dalla prima volta che si era affacciata nella sua mente, fissa e prepotente. Quel letto di ferro che sapeva di vecchio, residuo di reti arrugginite e cigolanti, e quel lenzuolo ingiallito dal tempo, adagiato sopra, che lasciava intravedere la sagoma del corpo che lo aveva abitato e che ora non c’era più.

     Le sembrava di avere davanti agli occhi una vecchia fotografia e non capiva perché ne fosse così attratta. Sapeva che quell’immagine scolorita aveva a che fare con la storia che le aveva raccontato Pier quattro giorni prima, eppure non ci aveva più pensato, e di storie come quella in fondo ne aveva sentite tante. Provò a ricordare le parole precise pronunciate da Pier per vedere quando si fossero soffermate su quel luogo, ma senza riuscirci. Quell’immagine doveva provenire dalla sua fantasia; probabilmente qualcosa del racconto di quell’uomo l’aveva evocata. A ogni minuto che passava aveva l’impressione che qualche cosa si facesse strada per premere alle porte della coscienza: la comparsa di quell’immagine pareva avere lo stesso effetto dell’anticipazione di una trama di un manoscritto che si sarebbe scandagliata solo successivamente, riga dopo riga, pagina dopo pagina.

     Per la prima volta dopo anni di terapia, quella settimana Pier aveva trovato la forza di raccontarle un particolare della sua storia familiare che aveva sepolto dentro di sé per quanto fosse penoso e agghiacciante. Riguardava la zia Anita e la scoperta che non era morta quando lui era bambino a causa di un incidente stradale, come gli avevano raccontato i genitori, ma era stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico nel quale aveva passato buona parte della sua vita. Quella di Anita, come quella di tanti altri malati rinchiusi in manicomio, era la storia di un’identità violata, di una libertà negata, fatta di soprusi e di violenze barbariche. Una storia che Isa conosceva bene, perché l’aveva approfondita sui libri ai tempi dell’università. A un certo punto ci fu una grande svolta: la lotta dei medici contro la politica dominante, contro la violenza delle istituzioni, in nome della libertà e della dignità dei malati. Ci furono nuove disposizioni e furono annunciati l’apertura dei reparti e l’abolizione delle misure di contenzione; per qualche degente fu anche previsto il ritorno a casa. Pier era stato sempre più concitato nel raccontare questi avvenimenti, fino a diventare scuro in volto quando si mise a parlare delle estreme difficoltà che la zia incontrò ad affrontare questo cambiamento.

     ‹‹Per lei fu troppo, con il corpo e la mente ormai deboli… E come poteva essere diversamente dopo che aveva imparato a sottomettere la sua volontà, a vivere come una reclusa, a essere trattata come una bestia? Anzi peggio, perché non le era permesso neanche di uscire in giardino, già… E le poche volte che le era concesso, veniva legata alla panchina con un guinzaglio. Ti rendi conto? Come poteva una donna così, ridotta a un nulla, riprendere in mano la sua libertà? Come?››

     Ascoltando queste parole e accorgendosi di quanto Pier fosse coinvolto emotivamente nel racconto, Isa non aveva potuto fare a meno di pensare che, parlando della zia, stesse in qualche modo anche parlando  di sé e delle difficoltà che stava attraversando in questo momento della sua vita. Pier era un uomo che si era reso conto nel tempo di quanto fosse dipendente dalla donna con cui viveva da parecchi anni, una donna che lo aveva portato alla disperazione a causa della sua infedeltà cronica e di una sorta di incapacità ad amare che non la rendeva in grado di dargli la vicinanza di cui aveva bisogno.  Forse per lui continuava a essere più facile toccare l’argomento servendosi di un altro protagonista.

     ‹‹Ti rendi conto di cosa voglia dire avere la possibilità di uscire dopo anni di prigionia e senza sapere esattamente che cosa ti aspetta là fuori? Certe esperienze possono rubarti persino la memoria della libertà, un giorno te la accartocciano in una palla e te la buttano via. E tu ti ritrovi davanti… un… un enorme baratro… I miei cercarono di fare il possibile per starle vicino, ma…››

     Pier era scoppiato in un pianto disperato e la storia si era interrotta, proprio allo scadere dell’ora. Isa porgendogli i fazzoletti gli aveva fatto un cenno con il capo per dirgli che capiva ma non aveva proferito parola, chiudendosi in un silenzio che aveva lasciato Pier solo con la sua angoscia.

     Ripensando a quella conversazione Isa si rese conto di quanto la sua reazione fosse stata implacabile, stranamente gelida, mentre ora, man mano che ricordava, le parole di quell’uomo le risuonavano in un modo nuovo, come messe dentro una cassa e amplificate. Ora, inaspettatamente, le entravano dentro come degli spilli che pungono le profondità della pelle, facendola vibrare tutta. Si sentì sempre più inspiegabilmente vicina a quella donna e al dolore del suo paziente e mentre le lacrime iniziarono a scenderle sul viso, cominciò a vedere con chiarezza. Quella vicenda, che aveva immediatamente ritenuto esserle estranea, in verità le apparteneva come ogni lembo della sua pelle. Mentre era seduta al suo scrittoio, nel silenzio della stanza, un nodo le strinse con forza lo stomaco e fu allora che capì quanto quel letto consumato dal tempo facesse parte della sua vita. Quell’immagine rappresentava infatti ciò che lei stessa voleva abbandonare.

     Riconobbe quell’angolo dove era stata da piccina, infinite volte, a piangere terrorizzata. Quel letto era stato il suo tetro rifugio di solitudine che l’aveva tenuta immobilizzata, riducendola a una cosa inerme, proprio come aveva fatto la camicia di forza con Anita. Quel letto rappresentava il luogo della reclusione che l’aveva passivizzata, rappresentava il passato che allunga i suoi artigli e ti cattura, fino a non lasciarti più nessun margine di manovra, proprio come aveva fatto l’istituzione con quella donna. Così come per Anita, anche per Isa era arrivato il tempo di lasciare quel luogo. Ecco perché l’immagine aveva continuato ad assillarla: le stava chiedendo di guardarla per l’ultima volta, di voltarsi e di andarsene via, questa volta per sempre.

     Ora più d’ogni altra cosa avrebbe voluto sapere questo: era riuscita Anita ad oltrepassare quella porta, ad affidarsi all’ignoto che le si apriva davanti? E Pier, ce l’avrebbe fatta a districarsi da quella relazione avvelenata che lo teneva su una fune come un equilibrista sempre sul punto di cadere nel vuoto? Tre storie si sfioravano misteriosamente l’una con l’altra senza che i protagonisti, almeno due di loro, ne avessero avuto coscienza e Isa teneva in mano il filo rosso che le univa.

     Si alzò cautamente dalla sedia e prima di decidere se prendere il telefono e comporre quel numero, si diresse verso gli scaffali della biblioteca. Qui prese in mano un libro dove vi erano scritte queste righe:

“Una favola orientale racconta di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all’uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà. L’uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se stesso. Finché un mattino l’uomo sentì che se n’era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non sapere cosa fare della sua libertà: nel lungo periodo del dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita” *

E lei, una volta sputato fuori il serpente, sarebbe riuscita a fare quel salto che l’avrebbe condotta finalmente al centro di se stessa?

 

*(Cit. da L’stituzione negata di F. Basaglia)

IL RACCONTO DI GIORGIA FANTINUOLI SI INSERISCE NELLA CORNICE CREATIVA DI “SCRITTURA CURA” – CORSO IPA, ISTITUTO DI PSICOLOGIA APPLICATA, 2020. 

G. Fantinuoli – Il serpente nello stomaco
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