Oggi su PA Micro Giornale di Versi, le parole di Paolo Polvani; due poesie per la ricerca del Sé profondo, due sguardi interstiziali tra l’individuo in erranza e la familiarità dell’Io con l’Altro-da-sé che solo la parola poetica mercuriale può esprimere.
VBM
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COSA CERCO QUANDO MI CERCO
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Cosa cerco quando mi cerco
Cosa cerco quando mi cerco, cosa guardo
quando mi guardo, quale linea, in quale corsia
mi perdo e dove trattengo il passo e dove
invece la luce appare, in quale padre
mi riconosco, in quale moltitudine ravviso
tracce di somiglianza, sintomi di una radice
che giunge fino a farmi germogliare,
a quale impeto, a quale rigurgito e suono
e strumento che fa rabbrividire i flussi
e stringere le cime, ottundere le strade
che risalgono, che giungono, come posso
riconoscermi, ritrovarmi lungo le linee
che s’intrecciano, si fondono, e a tratti
divergono per lasciarmi solo in una illusoria,
solo di facciata solitudine. Eccole le infinite
direttrici che mi portano qui, per
soltanto un attimo, per poi scomparire
e ricomparire altrove, sotto forma
di un altro ormai, un me che inseguo
un me che cerco ancora.
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IO CI METTO LE PAROLE
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Io ci metto le parole, per esempio
la parola scrivere, che ha un suono
di pozzanghera e ricorda
certi pomeriggi affacciati al balcone
con lo spaginarsi delle rondini
gonfie della frenesia di giugno
e le figurine sparse per strada
coi pensieri che rimbalzano nei muri,
e ci metto le parole che voglio,
quest’eco simultanea che dorme
nei vocabolari ma in segreto
non fa che tendere la mano, chiamarci
con un bisbiglio un po’ ruffiano, proporsi
con gesti a volte puttaneschi,
come roteare la borsetta, e infatti
le parole che dormono nei vocabolari
si fanno pallide nella dimenticanza,
si coprono di polvere, sbadigliano
con la pigrizia delle lucertole al sole, chiamano,
e allora ecco che scrivo sollucchero,
vanta parentele con sollazzo,
se scrivo valigia invece
pare voglia frapporre una distanza, e forse
non ci tende la mano con l’evidenza
di una tigre, il suo ruggito è morbido e sa
di vigilia, non ci chiama con la forza invece
che hanno le parole guarire, o garrulo, o presunto,
io ci metto le parole, poi ognuno se le mastica nel suo
angolino, nel suo frutteto, o serraglio, o in un
giardino, io ci metto le parole e ci guardiamo,
per esempio la parola bilancia, o uva, o primavera.

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