Il libro dei segreti che non ha scritto. Il diario dei pensieri che non ha sussurrato. Maria Cristina Sferra confessa alla Luna le ombre antiche del femminile, gli angoli bui, le strade non imboccate, gli artigli affilati e il ghiaccio, le cime innevate dei modi da brava bambina, gli aculei e le spine, la dote nuziale di tutte le donne, i canini che fanno brillare il sorriso di Lilith. La poeta raccoglie sulla via del coraggio tutte le lacrime perle, ne fa un manto. La figlia delle figlie intreccia le pagine, trama con cura un inventario del Sé. Ombra di Luna è un dono per tutte noi (e per i signori uomini).

“Le tue efelidi” scrive l’autrice “potessi contarle ancora”, ed è con una costellazione di lentiggini che ha inizio questa silloge. La Luna appare nera quando è nuova ma ai nostri occhi si rinnova prima della pienezza. La luce della Luna in tutte le fasi dipende dal punto in cui noi creature osserviamo il cielo, e poi c’è l’ombra, quella sempre ignota; è l’altra faccia, il retro delle cose. È la Luna mistero, la Luna che non conosceremo mai. Prima che ritorni a splendere, lei è Ombra celata silente subrosa mistero quadruplice – bambina adolescente adulta anziana e morte – e cammina, uovo, con in grembo una poesia che è come un figlio nuovo, sempre crescente nel girotondo di ventotto giorni.
Le poesie che Maria Cristina Sferra dedica alle ombre del femminile sono poesie di fuoco e gelo, versi crudeltà, parole che sonnecchiano nell’oscuro sentire di ogni animo – nell’umano, donna o uomo, è la voce d’Anima che parla.
Le efelidi della dedica iniziale appartengono alla mamma della poeta, quella madre che lei non può più abbracciare ma che ancora permea i ricordi, nutrendo la voglia di avere un rapporto con lei – e la poesia cos’è, se non scrigno di memoria viva, sangue di legame in versi che cuce il passato al presente e al futuro?
Ricordo che ti ho vista svanire.
Il dolore, quello no, non lo ricordo.
Il dolore lo sento.
In ogni singolo momento
dell’assenza tua
che sola mi è rimasta accanto.
Mamma.
E cos’è la poesia, se non lettera incisa di nei, cicatrici, segni?
Scrive la poeta nell’introduzione: “Amo osservare e ascoltare, ma soprattutto amo sentire e immaginare. E sono affascinata dal mondo femminile. Delle donne amo la fragilità e la forza, l’intuito e il coraggio, la cura che pongono nelle cose, l’energia materna e la creatività feconda. Delle donne amo anche il lato oscuro, quello che a volte narrano, altre lasciano percepire attraverso uno sguardo o un gesto.
Il lato oscuro dell’universo femminile contempla istinti d’amore e di rabbia, visioni arcane e passioni nascoste, silenzi e dolori, segreti preziosi custoditi nel profondo, tutto ciò che per pudore o timore quasi sempre viene taciuto.”
Del nostro lato oscuro sappiamo che ogni dea poteva vantare il proprio. Chi l’avrebbe detto che anche Venere avesse un lato cimiteriale – c’era una Afrodite Epitymbia “delle tombe” – a cullare vita e morte? Pensiamo a Era che si arrabbia di un’ira infuocata cercando di tenere vicino a sé Zeus, mentre lui se ne va alla ricerca di belle fanciulle. E che dire di Eris, quella che scatena la discordia tra la bella Afrodite, Era e Atena per il pomo che getta sul tavolo al matrimonio di Teti? Oh, le donne sono piacevolmente capaci di correlazioni ma anche di disgiunzioni ed è quest’arte del tessere e del disfare la tela che Cristina Sferra mette in luce con le oscurità in versi raccolte in silloge. È luce preziosa e delicatissima e si accende nel buio.
Nera essenza mostra un’ombra medusea – amante mantide – frasi da scrivere sul muro
NERA ESSENZA
Passa rasente i muri,
avida dei nostri pensieri.
Ci sfiora,
di tanto in tanto.
Un brivido la conduce,
una sensazione la rivela.
Un presentimento.
Lei vuole qualcuno,
per quel giorno,
per quell’ora.
Passa rasente i muri,
per passare inosservata.
L’ho sentita arrivare.
Poi andare via.
Tornare ancora.
Viene a raccogliere la vita.
Acquattata nell’ombra,
insaziabile, attende.
Amo l’immagine orientale di una donna esotica, una fanciulla che ci sussurra ombre romanticamente connesse al paese lontano – l’ombra è straniera secondo la psicologia del profondo, e per conoscerla non occorre accendere tutte le luci; bisogna piuttosto saper guardare nel baratro, laggiù, dentro lo specchio, fino in fondo, a incontrare i nostri stessi occhi.
Risalendo però, non potremo illuminare tutto. La natura è e rimarrà come minimo duplice.
YOKO
Voglio guardare
i tuoi occhi dormienti.
Occhi di mandorla,
linee sottili,
sonnambuli fili di tango.
Sul volto tuo,
a tinte lievi dipinto,
una pioggia di note.
Volano i ricordi a oriente,
timidi fiocchi di neve,
giovani fiori in boccio,
labbra di lacca rossa,
piccoli inchini,
nubi composte,
bianchi silenzi.
Voglio guardare
i tuoi occhi dormienti,
leggere il volto tuo,
distesa pergamena dorata,
che dice di te
cose lontane,
molti misteri.
La coscienza completa richiede sempre uno spazio per la notte. Non dobbiamo, per evolvere, eliminare la nostra gemella oscura. Ci basterà una candela, un piccolo lume a portata di mano, perché…
se si accende la luce troppo velocemente…
perderemo per sempre la ricchezza del buio.
E perdere i nostri demoni sarebbe una disfatta, uno scacco senza appello. Ci ritroveremmo banali, piatti, conformisti, senza più sfaccettature. Il segreto è il dosaggio, e la Luna in quest’arte è di certo maestra, fornendoci il ritmo della poetica danza tra lume e oscurità.
Quando l’ombra aumenta, il buio ci fa paura; possiamo però ascoltare le parti di noi che non viviamo nella luce del giorno, le emozioni che non osiamo confessare, i non detti, i non scritti.
KINTSUGI D’ANIMA
Colare l’oro della parola
nelle crepe dell’anima
per far brillare
il prezioso dolore,
lo strappo
che tiene insieme la vita.
La silloge di Sferra lascia che a parlare sia la voce del desiderio, ed è un anelito che mira a proseguire oltre, è curiosità che accoglie il fragile nucleo dell’essere umano e la disillusione, la domanda universale che si articola in una profonda riflessione sul senso dell’esistenza.
OLTRE LA VITA
Chi verrò io a trovare
in questo mondo
quando sarò morta?
Con chi mi incontrerò
nei vorticosi sogni notturni
che generano abbracci segreti?
Chi si ricorderà di me
quando non sarò più di questa vita?
Non ho una figlia ad attendermi
in nessun luogo
con gli occhi chiusi dal sonno.
Dunque a noi non resta che attendere il primo bagliore, l’alba che unisce i frammenti, per godere il giorno fino al sorgere della Luna.
Biografia
Maria Cristina Sferra, nata a Novara nel 1965, vive a Milano. Diplomata al liceo artistico (sezione culturale), frequenta il corso post-diploma a numero chiuso di grafica pubblicitaria alla Scuola di Arte Applicata all’Industria del Castello Sforzesco di Milano.
Giornalista professionista dal 1991, lavora per vent’anni nella casa editrice milanese Rusconi Editore (poi Hachette) come art director, responsabile dell’ufficio grafico di Vitality, mensile femminile a diffusione nazionale.
Durante il suo percorso creativo realizza progetti di grafica editoriale e pubblicitaria e si occupa a lungo di ricerca iconografica. Cura immagine e testi di blog, pagine social e siti. Appassionata di fotografia, ha partecipato a diverse mostre d’arte e le sue immagini sono pubblicate su libri, riviste e sul web.
Da alcuni anni collabora con Cultura al Femminile, Associazione Culturale e Portale Web, per cui scrive recensioni di libri e coordina la rubrica Lettere al Femminile.
Cura il blog personale http://www.cristinasferra.wordpress.com
Da autrice indipendente nel 2014 pubblica il romanzo A mezzogiorno del mondo (una storia d’amore), nel 2016 la silloge poetica Il soffio delle stagioni e la raccolta di racconti L’amore è una sorpresa, nel 2017 la silloge poetica Ombra di luna, nel 2019 il diario esperienziale Il corpo morbido (per)corso di teatro, nel 2021 la raccolta di pensieri e immagini WHITE (pagine bianche).
Molteplici sue composizioni in prosa e in versi fanno parte di antologie collettive pubblicate da editori vari. Dell’antologia di racconti e poesie Storie sbagliate (Golem Edizioni, 2020), a cui ha partecipato con diverse poesie, è anche co-curatrice e firma il progetto di copertina.
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